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Ardita: noi siamo il calcio moderno!


Posted by WanderersFutbol on 31 Oct 2014 / 1 Comment
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[Anche in spagnolo]

Sabato 25 ottobre, Roma. Seconda giornata del campionato di 3° categoria. Siamo sugli spalti del campo dove l’Ardita ha da poco guadagnato i primi tre punti della stagione: Giuseppe, Carolina e Alessandro sono rimasti qui sulle gradinate, fra resti di Peroni da 66 e di fumogeni giallo-neri, per parlare dell’Ardita. La prima squadra italiana basata sull’azionariato popolare è arrivata alla sua quarta stagione e il progetto non smette né di crescere né di evolversi. Ce la raccontano un dirigente, una tifosa e un giocatore: tre differenti punti di vista, uniti dalla fiducia in un progetto comune.

 

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L’artista TadhBoy ha curato la grafica per la campagna di tesseramento 2014-15.

 

Intervistiamo Giuseppe, responsabile tifoseria e merchandising.

 

Partiamo in quarta: sulla tessera di socio 2014-15 figura il motto “Noi siamo il calcio moderno”. Il capovolgimento di uno slogan molto usato da chi si oppone al modello di calcio vigente. Ci spieghi questo ribaltamento?

L’idea di “Noi siamo il calcio moderno” ci è venuta partecipando al documentario “Nel pallone”, che nella sua prima puntata ha trattato il tema della passione calcistica. Credo che “No al calcio moderno” sia uno slogan per addetti ai lavori: lo capiscono i tifosi negli stadi, ma rimane una definizione ambigua.

In Italia tutti dicono che il calcio sta finendo, si parla di rifondare il calcio italiano, si parla di crisi del sistema, però concretamente pochi si attivano. In questo contesto si inserisce la nostra provocazione: se dobbiamo rifondare il calcio italiano, se dobbiamo costruire un calcio veramente moderno, allora facciamolo come vogliamo noi. Il calcio che vogliamo si costruisce partendo dal basso, dal protagonista effettivo del calcio, cioè i tifosi. Non dobbiamo mai dimenticare che il calcio senza la passione del tifo non ha senso. Nel nostro calcio il tifoso viene responsabilizzato e fidelizzato, le persone vengono rimesse al centro del progetto. Per questo ci sentiamo il calcio moderno.

Un inizio di stagione all’insegna del cambiamento. Il primo, quello del campo: dalla zona di San Paolo al nuovo centro sportivo a Pietralata. Quali sono i motivi di questo trasloco?

Abbiamo avuto l’opportunità di entrare nella gestione di una sede e di un campo, nel quale però non giochiamo le gare ufficiali. Lo condividiamo e gestiamo con Liberi Nantes, una squadra formata da rifugiati politici.

I motivi dello spostamento? Ci siamo resi conto che essere semplici affittuari di un campo non ci avrebbe mai portato ad un salto di qualità. Tutto ciò che ci siamo immaginati per creare un bel movimento di persone attorno all’ardita aveva bisogno di un luogo fisico in cui fossimo liberi di organizzarci.

L’opportunità più importante è quella di passare da semplici clienti di un campo affittato a co-gestori e protagonisti attivi dell’organizzazione di un centro sportivo. Abbiamo potuto aumentare gli allenamenti, passando da due a tre appuntamenti settimanali per i nostri giocatori. Non c’è più il problema di dover chiedere mesi prima l’autorizzazione per una partita: se vogliamo fare un’amichevole la facciamo. E un domani ci potremo inventare l’ipotesi di una scuola calcio, di una squadra femminile o di una compagine amatoriale: le possibilità sono molte e ci permetteranno di crescere enormemente.

La seconda rivoluzione sta nel nome: da “Ardita San Paolo” ad “Ardita”. Un cambio dettato solo dallo spostamento o c’è dell’altro?

Per quanto riguarda il nome, sono i due ragionamenti che ci hanno portato a questa scelta. Il primo è che cambiando quartiere non aveva senso mantenere la dicitura San Paolo: un abbandono non indolore, perché avevamo puntato molto sulla dimensione territoriale della squadra. Ma oltre a ciò abbiamo voluto fare una scommessa: visto che ci veniva a vedere gente da tutta Roma e anche da fuori città, abbiamo capito che godiamo di un potenziale che abbraccia tutta la città e ne travalica i confini. L’obiettivo non è quello di divenire la terza squadra di Roma, perché puntiamo oltre: siamo un modello talmente diverso che può essere percepito in qualsiasi zona d’Italia e del mondo.

Sugli spalti dell'Ardita si respirano passione, colore e voglia di divertirsi.

Sugli spalti dell’Ardita si respirano passione, colore e voglia di divertirsi.

Calcio popolare a Roma e in Italia. Che momento viviamo? Quali sono le prospettive a lungo termine?

A Roma al momento sono tre le società che si rifanno al cosiddetto calcio popolare, che è comunque una definizione che stiamo cercando di superare, o quantomeno di definire meglio. In ogni caso a Roma ci siamo noi, l’Atletico San Lorenzo dell’omonimo quartiere e lo Spartak Lidense di Ostia. Siamo molto contenti, perché abbiamo dato via ad un modello che evidentemente funziona e piace. Siamo fieri di essere stati i primi qui a Roma. La situazione ovviamente è variegata: lo Spartak Lidense vive in un territorio autonomo e periferico rispetto a Roma, mentre San Lorenzo è un quartiere popolare, universitario e con una forte identità. E poi ci siamo noi, che al momento siamo gli unici che agiscono su tutta la città di Roma. Esempi come nostri si diffondono in tuta Italia, ognuno con le sue peculiarità: chi è più connotato politicamente, chi viene dallo stadio, chi ha una provenienza ancora differente. Noi tentiamo di mantenere rapporti con molte esperienze e ci confrontiamo anche grazie al CONASP, che raggruppa varie realtà di sport popolare a livello nazionale e di cui siamo stati i primi firmatari nel mondo del calcio.

I giocatori giallo-neri ringraziano i tifosi a fine partita.

I giocatori giallo-neri ringraziano i tifosi a fine partita.

 

Intervistiamo Carolina, tifosa dell’Ardita.

Iniziamo con una domanda aperta. Nell’era in cui gli abbonamenti nella massima serie diventano un privilegio, in cui entrare allo stadio richiede più procedure che entrare in aeroporto, cosa significa seguire l’Ardita come tifosa?

Tifare l’Ardita significa andare contro le dinamiche del calcio attuale: la fila ai tornelli, il DASPO, le violenze e tante cose a cui ci opponiamo. Nell’Ardita non si è soltanto tifosi, non si fa va allo stadio per il semplice piacere di vedere una partita, perché il vero piacere è quello di far parte di questa realtà. Io personalmente sono una socia attiva da anni, ho quindi un mio ruolo nella società, e non sento di andare a vedere una squadra semplicemente per vedere il risultato: quando guardo i giocatori in campo vedo un progetto che prende vita e io mi sento parte del progetto. Tutto ciò porta la tifoseria a metterci l’anima e la passione, un’attivazione genuina che parte dal cuore.

Parliamo del ruolo di voi tifosi nella società. Come vi attivate al di là del sostegno in campo?

L’Ardita ha un presidente e dei dirigenti, tutti eletti dall’assemblea. Dopodiché ci sono tutti i soci che hanno fatto la tessera, che costa 10 euro per i bambini, 25 per tutti e 50 per chi decide di contribuire di più: ma tutti hanno lo stesso potere decisionale. Quando si compila il modulo si sceglie se divenire socio attivo o passivo: diventando un socio attivo si può partecipare a tutte le riunioni assembleari e prendere parte a tutte le decisioni, anche le più importanti. Ognuno rispettivamente ai propri studi e alle proprie passioni si mette a disposizione per qualcosa. Io ad esempio, che nella vita sono pubblicitaria, da tre anni mi occupo di strategia di marketing, di grafica e di comunicazione per l’Ardita.

Questi contributi sono fondamentali perché siamo una società creata da neofiti che si è costruita solo grazie alla valorizzazione dell’esperienza dei propri soci. Ma come socia posso garantire che si impara molto sul campo e ci si perfeziona su quelle piccole cose che magari non sono la propria specialità ma che uno mette in campo e valorizza. Alla prima assemblea abbiamo compilato un modulo in cui dicevamo cosa sappiamo fare, cosa abbiamo studiato e cosa fanno i nostri genitori: tutti devono essere utili alla società.

Avere dei tifosi così in terza categoria, qualcosa di unico per i giocatori

Avere dei tifosi così in terza categoria, qualcosa di unico per i giocatori

 

Raccontaci cosa significa andare in trasferta con l’Ardita. Come reagiscono tifosi e giocatori avversari di fronte ad un’anomalia così importante per la vostra categoria?

A dire il vero non abbiamo mai incontrato altre tifoserie vere e proprie. Perciò i piccoli contrasti sono sempre avvenuti con i giocatori: ci sono quelli che reagiscono positivamente e vengono sotto la curva ad applaudire, ed altri che magari per l’invidia di avere una tifoseria ci insultano. E’ vero anche che noi provochiamo, ma sempre scherzando, come abbiamo fatto poco fa gridando al portiere avversario di restare seduto. Ma lui ha reagito bene sorridendoci.

Spesso veniamo accusati di portare avanti un’idea politica nascondendoci dietro ad una squadra, cosa assolutamente non vera. Ma capita di incontrare individui contrari all’idea politica che credono di vedere in noi e in questo trovano un appiglio per venirci contro. Ovviamente ciò non significa che l’Ardita non sia portatrice di valori politici nel mondo dello sport, ma c’è differenza fra questo ed essere rappresentanti diretti di un’ideologia, come se non ci fosse un’assemblea composta da tutti i soci che di volta in volta dibatte e decide sulle questioni.

Ti piacerebbe che un giorno l’Ardita fondasse anche la sua squadra femminile?

Certo. Ma penso che quel momento sia ancora lontano, perché portare avanti una società di questo tipo richiede fatica e risorse economiche, che spesso siamo costretti a mettere anche di tasca nostra pur essendo tutti ragazzi giovani. Ora come ora riuscire a dare ai nostri giocatori la doppia divisa è già un traguardo. Ovviamente la squadra femminile è un obiettivo a lungo termine, però personalmente lo vedo come futuro ancora lontano.

Parliamo di ciò di cui ti occupi tu nella società: come si autofinanzia una squadra come l’Ardita, che oltre alla quota sociale e alle magliette vendute non prevede grandi ingressi?
L’autofinanziamento è evidentemente un problema per questo tipo di società, perché non avendo molti soldi in partenza è difficile lanciare strategie di marketing efficaci. Da quest’anno abbiamo creato un’organizzazione che si occupa di creare eventi per l’autofinanziamento: è questo genere di iniziative la cosa che più ci aiuta. Attualmente stiamo anche organizzando una campagna di crowdfunding per raccogliere tutto il sostegno di cui godiamo, anche quello a distanza.

Un’altra grande possibilità di incrementare gli ingressi sarebbe quella del passaparola, ma ancora non dà i risultati che vorremmo: non è cosa di tutti i giorni essere proprietari di una squadra di calcio, però di norma le persone sono ancora molto legate al sostegno passivo verso una squadra. Qualcuno si tessera e ci chiede: “Ma cosa posso fare?”. “Puoi fare tutto”, gli rispondiamo noi. Quando riusciremo a svincolarci dall’idea vigente di rapporto fra tifoso e società sportiva riusciremo sicuramente anche ad incrementare il numero dei partecipanti.

Alessandro, disposto a dare tutto per la squadra: anche la propria caviglia

Alessandro, disposto a dare tutto per la squadra: anche la propria caviglia

Intervistiamo Alessandro, da due anni attaccante dell’Ardita con il numero 9.

 

Giocare in una squadra gestita democraticamente: una cosa strana in uno sport spesso definito gerarchico. Come si vive questa differenza da giocatore?

La differenza si sente molto. Giocare a calcio in queste categorie spesso si significa far parte di società più o meno grandi ma sempre gestite in maniera abbastanza autoritaria, sia nello spogliatoio sia a livello di club. Prima di approdare all’Ardita ho giocato in varie società di tipo tradizionale, perciò adesso sento una differenza palese: qui nello spogliatoio c’è un gruppo di persone che fa parte di una comunità. C’è molto meno individualismo, tutti e 24 i calciatori sentono di essere parte di un progetto e di dover vincere per quel progetto. Il calciatore è anche un tifoso: se non veniamo convocati siamo sempre in tribuna a tifare, perché siamo dei tifosi in campo.

 

Pensi che l’apertura di un settore giovanile, in un ipotetico futuro, potrebbe essere un obiettivo a lungo termine?

Ovviamente è un obiettivo a lungo termine, ma non è facile da mettere in pratica per una realtà come la nostra. Questo è il quarto anno dell’Ardita, il secondo per me, che sono entrato con un provino fatto d’estate. Io ho conosciuto l’Ardita tramite amici che stanno sugli spalti, ma magari un giorno riusciremo a crescere i nostri giocatori sin da piccoli.

Che rapporto avete voi giocatori con la tifoseria che vi supporta dagli spalti?

Un rapporto fantastico. Ci sostengono a prescindere da qualsiasi risultato e vi garantisco che negli anni scorsi i nostri risultati non sono stati sempre eccellenti, mentre quest’anno puntiamo a vincere la categoria.

Si presentano sempre in gran numero in casa e in trasferta, di conseguenza ci sembra sempre di giocare in casa. A volte tutto questo irrita gli avversari, ma più spesso ci fanno i complimenti dicendo che per loro sarebbe un sogno avere dei tifosi così fedeli e numerosi. I nostri tifosi rendono migliore l’atmosfera delle partite, i cori non sono mai banali e ci danno una carica enorme: noi li ricambiamo andando ad esultare da loro quando segniamo. La cosa bella è che ho un rapporto di amicizia con molti di loro: alcuni erano già miei amici, altri li ho conosciuti qui. Questo è il bello, avere sempre amici sugli spalti che mi sostengono, ma che non sono qui per me: loro si sentono il centro dell’Ardita. Non sono i tifosi che vengono per vedere i giocatori, ma siamo noi in campo che giochiamo per loro. Abbiamo ribaltato tutto!

 

L’epicentro dell’Ardita: i suoi tifosi

L’epicentro dell’Ardita: i suoi tifosi

 

Valerio Curcio
(@ValerioCurcio)

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Ardita: ¡nosotros somos el fútbol moderno! | Wanderers
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